Pro Loco di Cargeghe



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Il paese



Immerso nel verde della natura, e circondato dal maestoso costone roccioso di Giorrè, Cargeghe è un piccolo Comune della provincia di Sassari con circa 620 abitanti.

Il paese, a 333 metri s.l.m., è adagiato sul poggio panoramico del monte Pizzu 'e Adde (525 m) dal quale domina la vasta vallata di Campomela.

È l'imponente altopiano di Giorrè a caratterizzarne il paesaggio: un territorio di circa 1200 ettari – in cui si possono ammirare ancora antiche rovine di nuraghi e di diverse domus de janas – ricco di fiumi (Riu de Montes, Badde Saina, Riu San Pietro) e fresche sorgenti (Magola e Ortos).

Le origini dell'abitato risalgono al medioevo, periodo in cui era compreso nel Giudicato di Torres.

La chiesa parrocchiale, dedicata ai Santi Quirico e Giulitta, santi patroni di cui si celebra la festa il 15 luglio, risale al 1500.

Di singolare bellezza anche la chiesa di Santa Maria 'e Contra: costruita attorno al 1100, era il punto d'incontro degli abitanti che, dai paesi vicini, per due volte all'anno, si recavano in pellegrinaggio alla basilica di Saccargia.

A Cargeghe, in un'area già utilizzata come necropoli in epoca romana, sorge la chiesa dedicata ai Santi Quirico e Giulitta. La chiesa occupa quella che, fino alla fine del XX secolo, era la parte più alta dell'abitato. L'edificio che è giunto fino a noi è frutto di aggiunte e sovrapposizioni effettuate fino alla metà del '900. La facciata, nelle sue forme attuali, risale presumibilmente alla fine del XVIII secolo.

Sopra il portale d'ingresso è collocata un'elegante vetrata dalla particolare forma a cuore rovesciato, sormontata da un timpano semicircolare, al cui centro è posta una finestra cieca. Nella parte superiore è presente un elemento curvilineo di stile tardo barocco.

L'attuale campanile, realizzato alla fine del 1800, si erge su quello originario in stile classico – crollato a causa di un fulmine – di cui è visibile soltanto la parte basale. L'edificio, a navata unica, presenta il presbiterio sollevato rispetto al piano dell'aula con abside semicircolare orientata ad est. Proprio nel catino dell'abside è collocata una pala d'altare raffigurante i Santi Patroni con i simboli del martirio, opera giovanile del pittore sassarese Costantino Spada. La volta a botte poggia su una cornice scolpita con semplici modanature, e su di essa si aprono due finestrini per lato, decorati da una cornice in pietra a vista. Quattro cappelle si affacciano su ogni lato dell'aula ma le più antiche, che conservano ancora le caratteristiche originarie nella struttura della volta, sono quelle del transetto e quelle che si aprono sul lato destro. La decorazione in stile gotico-aragonese permette di datarne l'epoca di costruzione presumibilmente al XV secolo. Gli altari marmorei delle cappelle, che sostituirono quelli più antichi in legno di foggia barocca, risalgono ai primi decenni del 1900 e sono opera di artigiani locali. A destra dell'altare troviamo la cappella dedicata a Maria che ospitava il quadro più prezioso posseduto dalla parrocchia, ora custodito presso la Soprintendenza di Sassari. La Vergine è qui ricordata con il titolo di “Auxilium Christianorum”. Il dipinto, risalente alla fine del '500 e raffigurante la Sacra Famiglia con S. Giovannino, è opera del pittore fiorentino Baccio Gorini, esule in Sardegna probabilmente per motivi politici. L'opera è menzionata da tutti i visitatori del XIX secolo quali Alberto La Marmora e Emmanuel Henri-Dieudonné Domenech. In particolare il canonico Giovanni Spano ne ricorda la grande devozione da parte dei fedeli che invocavano la Madonna come “Nosthra Segnora de sos isconsolados” (Nostra Signora degli sconsolati). All'interno della chiesa sono custoditi altri raffinati dipinti databili dalla fine del XVI secolo alla prima metà del XX secolo.

Di particolare pregio è inoltre la statua dei Patroni, realizzata in legno e stucco nel XVIII secolo da maestri della scuola napoletana. In occasione della festa celebrata il 15 luglio viene rivestita di antichi ornamenti d'argento e portata in processione per le vie del paese. L'archivio storico parrocchiale conserva alcuni libri liturgici e devozionali nonché documenti sulla vita religiosa e civile della comunità dalla fine del '500 a tutto il XIX secolo. La chiesa di Santa Maria 'e Contra, a Cargeghe, è uno dei più piccoli edifici di culto di stile romanico della Sardegna. L'edificio è attribuibile a maestranze che, nel XI secolo, operavano nell'area di Ploaghe (antica Plovake) e nel Goceano. La chiesa ha un impianto ad aula unica con abside ad est, a cui è addossato un portico laterale. La facciata presenta un campanile a vela con una croce in pietra di fattura secentesca.

Il portale è sormontato da un arco di scarico, mentre nella parte superiore della facciata si trovano due mensole: queste, probabilmente, avevano la funzione di sostenere una tettoia o un portico in legno di cui non rimane traccia. Sotto il campanile si apre una piccola luce a forma di croce, una finestra simile è visibile anche sopra l'abside. Una monofora con centina ogivale si apre, invece, sull'abside e sulle pareti laterali dell'edificio. All'interno, sotto l'altare, è possibile ammirare un pregevole pannello decorativo (paliotto) in legno risalente al 1600. A partire dal 1125 il titolo di Sanctae Mariae in Contra è ricordato fra le proprietà sarde del San Salvatore di Camaldoli: si tratta di un ordine monastico al quale apparteneva anche l'abbazia della Santissima Trinità di Saccargia nel vicino paese di Codrongianos, da cui la chiesa dipendeva. I monaci benedettini trovavano nella chiesa una particolare atmosfera di raccoglimento e di preghiera grazie alla suggestiva cornice naturale.

Tra il XII e il XIII secolo si formò attorno all'edificio un piccolo villaggio, che prese il nome dalla titolatura dalla chiesa, Contra, abbandonato tra i secoli XIV-XV. La chiesa, secondo alcuni, venne chiamata in questo modo perché era luogo di incontro per i Benedettini del convento di Nostra Signora di Paulis, in territorio di Ittiri, e per quelli del monastero di Saccargia. Per la suggestione del luogo la chiesa e il territorio circostante vennero scelti, nel 1976, come set per il film “Padre Padrone” dei Fratelli Taviani (vincitore della “Palma d'Oro” al Festival di Cannes), tratto dall'omonimo romanzo di Gavino Ledda. La chiesa, inoltre, fa attualmente parte del progetto ITERRCOST per la valorizzazione dello stile romanico in Sardegna.

Nuraghe di Santa Maria, un gigante che domina la vallata di Campomela Dal bordo dell'altipiano di Coloru, che deve il suo nome all'andamento sinuoso della colata lavica originata dal vulcano San Matteo (coloru significa infatti “serpente”), l'imponente nuraghe S. Maria domina la vallata di Campomela. Il monumento è una struttura monotorre costruita da grandi blocchi di basalto disposti su filari orizzontali, con un'altezza residua di 5,60 m. L'ingresso immette in un corridoio che va allargandosi verso la camera interna con copertura a tholos. Si conserva la scala elicoidale che porta alla camera superiore, la cui volta è crollata all'interno.

Nelle vicinanze del nuraghe si snodano due antichi tracciati viari, assimilabili per tipologia costruttiva alla strada di Sos Baiolos, situata alla periferia nord-occidentale dell'abitato di Cargeghe e risalente all'epoca romana. Alla periferia di Cargeghe sorge anche il nuraghe Cherchizzos, su un terreno oggi adibito a pascolo. Dell'originaria struttura restano solamente due filari di blocchi lungo il tratto sud e quattro filari lungo il tratto nord. Intorno al monumento doveva sorgere un villaggio nuragico, il cui riutilizzo in Età Romana è attestato dal rinvenimento di numerosi frammenti di ceramica, embrici e coppi.




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